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"Come in una tela in cui l'occhio non sa dove posarsi, le soluzioni linguistiche di questo libro risultano talvolta contro-intuitive, ma è proprio in virtù di ciò che regalano dei piccoli stordimenti all'intelligenza; più a quella intellettiva, si badi, che non a quella emotiva. [...] I versi di Fresa osano l'aporia, osano avventurarsi oltre le catene della sintassi per approdare a quel che la psicanalisi freudiana chiamava l'ombelico del sogno, nodo inaccessibile all'analisi. [...] Di più, vi è una narrazione poetica che gioca con uno scollamento, quello tra linguaggio parlato e soggetto parlante, che gioca coi concetti di conclusione e di sconclusione, di compiutezza e di incompiutezza, e dunque coi concetti di sapere e non-sapere, di conoscenza e ignoranza: non per nulla, il soggetto del discorso resta il più delle volte ignoto. [...]. La poesia si fa allora estroflessione dell'inconscio, si fa condensazione e spostamento, si fa sogno stesso". (Andrea Corona)